Il rigetto d’organo: perché rappresenta una minaccia al trapianto e come si può combatterlo

Dottoressa Giorgia Comai, U.O. Nefrologia, Dialisi e Trapianto, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna.

Il rigetto dell’organo trapiantato è rappresentato da una aggressiva risposta del sistema immunitario contro il rene trapiantato mediato dai linfociti, dai macrofagi o dagli anticorpi diretti contro l’organo.

Il rigetto si previene con i farmaci immunosoppressori che vengono prescritti già immediatamente dopo il trapianto. Grazie alle attuali strategie terapeutiche immunosoppressive il rigetto di tipo cellulare insorge in circa il 10-20% dei pazienti trapiantati ed è più frequente nel primo anno del trapianto mentre il rigetto mediato dagli anticorpi insorge nel 5% dei pazienti trapiantati.

In generale il rigetto è una complicanza temibile in quanto se non riconosciuta e trattata può portare alla perdita irreversibile della funzionalità del trapianto. Può insorgere in modo acuto ma anche in modo cronico. Nel primo caso i sintomi e i segni più tipici sono caratterizzati dalla comparsa di febbre, di dolore e senso di tensione del rene, dalla riduzione del volume urinario e dalla comparsa di ipertensione arteriosa. Nel secondo caso invece, il rigetto si instaura in modo più lento e spesso non si caratterizza per la comparsa di sintomi ma viene sospettato durante i controlli nefrologici periodici se compare la proteinuria o vi è un peggioramento della funzionalità renale.

La diagnosi di certezza del rigetto avviene mediante l’esecuzione della biopsia del rene trapiantato che mostrerà l’aggressione delle cellule del sistema immunitario sul rene. Esiste una classificazione istologica che permette di descrivere e caratterizzare il tipo di rigetto e la sua gravità. Questa classificazione è molto importante in quanto permette di mettere in atto le migliori strategie terapeutiche per combattere il rigetto. Queste terapie sono caratterizzate dall’uso di farmaci antirigetto come il cortisone e il siero antilifocitario nel caso del rigetto cellulare, le immunoglobuline endovena, il rituximab e le plasmaferesi nel caso del rigetto mediato da anticorpi.

È possibile combattere il rischio di rigetto se vengono seguite le indicazioni dei medici che si occupano del trapianto ed in particolare se viene seguita attentamente la prescrizione dei farmaci antirigetto che devono essere assunti costantemente.

La principale causa del rigetto è infatti la non aderenza alle medicine antirigetto. Per non aderenza alla terapia si intende sia il dimenticarsi di assumere i farmaci, quindi saltare delle dosi, sia l’assunzione non regolare, per esempio non rispettando gli orari indicati. Infine è sempre molto importante verificare, quando si inserisce nella terapia una medicina nuova, che questa non interferisca con le medicine antirigetto. Per questo è sempre importante confrontarsi con i dottori di riferimento del trapianto tutte le volte che viene suggerita una medicina nuova. In ultimo va ricordato che la non assunzione della terapia immunosoppressiva può causare l’insorgenza del rigetto in qualsiasi momento della vita del trapianto, non solo nel primo anno ma anche dopo molto tempo.

La moderna tecnologia ci viene in aiuto nel ridurre al minimo i possibili errori dell’assunzione delle medicine, possono essere utili sistemi di allarmi sul cellulare o app specifiche che ricordano gli orari dei farmaci.

È inoltre molto importante confrontarsi con il proprio medico in caso di effetti collaterali della terapia per poter trovare la giusta soluzione senza effettuare modifiche in autonomia che potrebbero essere causa di rigetto.

Il rapporto tra il paziente trapiantato e i medici specialisti è fondamentale per la buona riuscita del trapianto; questo percorso insieme è una collaborazione volta ad affrontare ogni problematica e soprattutto a prevenirla effettuando i periodici controlli clinici.